Il razzismo nel mercato del lavoro: «Assumiamo pachistani nel tessile e senegalesi per le mansioni di fatica» - L'Espresso

2022-11-16 14:54:16 By : Ms. Natelie Huang

Molti imprenditori italiani selezionano in base alla nazionalità. E le discriminazioni per chi è straniero iniziano dai colloqui. Come dimostrano i dati e i fatti di cronaca. La denuncia di una recruiter a L’Espresso, tra irregolarità e sfruttamento

Aggredita perché ha chiesto di essere pagata. È successo lo scorso agosto in un lido di Soverato, in Calabria, a una lavoratrice nigeriana che reclamava il compenso concordato con il proprietario dello stabilimento. Il video in cui il datore di lavoro, prima di picchiare la lavoratrice, le ricorda: «Questa è casa mia, rivolgiti agli avvocati e ai carabinieri», è diventato virale e ha scatenato indignazione. Ma non è un caso isolato.

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Come spiega Antonio Jiritano, dirigente regionale dell’Unione sindacale di base in Calabria: «Quello che è successo a Beauty Davis quest’estate è esemplificativo di un sistema diffuso e strutturato. C’è un personaggio, ad esempio, un professore conosciuto da queste parti, che ogni anno, grazie alla sua rete di conoscenze, “aiuta” i ragazzi poco più che maggiorenni del centro di accoglienza di San Sostene a trovare lavoro in ristoranti e balneari nella zona di Soverato. Solo che puntualmente, alla fine della stagione estiva, questi non ricevono la paga che avevano pattuito. Ad alcuni viene dato un acconto di due o trecento euro, ad altri proprio nulla. Sto preparando un esposto da portare in Procura per denunciare la vicenda. Oggi seguo nove lavoratori, nigeriani, della Nuova Guinea e del Burkina Faso, rimasti senza compenso: da quando si è sparsa la voce che li stiamo aiutando, i datori di lavoro non ritirano più neanche le raccomandate con cui il sindacato invita alla conciliazione bonaria. Così procedo segnalando i casi all’ispettorato del lavoro».

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Le discriminazioni per chi è straniero, soprattutto se extra Unione europea, infatti, avvengono per la maggior parte durante la vita lavorativa. Non per forza violenze fisiche ma disparità di trattamento che iniziano dal colloquio per l’impiego e si ripetono ogni giorno. Lo dimostrano i dati secondo cui gli stranieri residenti in Italia, tra irregolarità e sfruttamento, lavorano in condizioni degradanti o senza contributi sociali. Oltre che accettare occupazioni che in molti casi i lavoratori nazionali preferiscono non svolgere. Come nel settore agricolo dove il 29,3 per cento delle giornate lavorate è ascrivibile a stranieri. Secondo i report di Openpolis, il tasso di irregolarità supera il 30 per cento, mentre nell’84 per cento dei casi i contratti, quando vengono fatti, sono a termine.

Ma lo dimostra soprattutto il divario salariale, come si capisce dal rapporto “The migrant pay” pubblicato a dicembre 2020 dall’Ilo, l’organizzazione internazionale del lavoro. Nei Paesi ad alto reddito i lavoratori migranti guadagnano in media il 12,6 per cento in meno all’ora rispetto ai lavoratori nazionali. In Italia guadagnano il 30 per cento in meno. La situazione è anche peggiorata dal 2015 quando la differenza era del 27 per cento.

Una parte di divario deriva dalla struttura del mercato del lavoro e dalle differenti competenze dei lavoratori. Anche se è molto diffuso il fenomeno dell’overqualification, cioè il fatto che una persona accetti un'occupazione che richiede una preparazione tecnica o accademica inferiore a quella posseduta. Succede al 67,5 per cento degli stranieri residenti in Italia.

L’altra parte di una così grande differenza tra i salari, però, resta inspiegabile. O meglio, è probabilmente il risultato delle discriminazioni.

«Spessissimo le aziende quando ricercano il personale indicano anche la nazionalità dei lavoratori che vorrebbero assumere. Sempre a voce, mai scrivendolo», spiega una dipendente di una delle tre più importanti agenzie per il lavoro del Paese, che preferisce rimanere anonima. «Siamo una multinazionale quindi abbiamo a che fare con aziende piuttosto grandi perché si possono permettere i costi d’agenzia. Di solito hanno più filiali sul territorio». Come racconta la recruiter, «lavoratori d’origine rumena o albanese sono i più cercati nel settore dell’edilizia. Senegalesi o in generale africani vengono richiesti per la produzione quando le mansioni sono di fatica o in luoghi piuttosto caldi. Nel tessile si prediligono i pachistani. Noi ignoriamo le richieste illegali dei datori di lavoro ma purtroppo non cambia niente. Alla fine del processo di selezione mi rendo conto che molte assunzioni avvengono sulla base della nazionalità. “Gli altri profili non erano in linea con i bisogni dell’azienda” mi viene detto».

Un’altra opinione condivisa da molti datori di lavoro, a quanto spiega la recruiter, è che «i lavoratori stranieri accettino paghe più basse. Così, ad esempio, nel settore delle pulizie le imprese multiservizi richiedono che la selezione del personale avvenga tra questi». Eppure, spiega l’avvocato Stella Piergiacomi, specialista in diritto sindacale, del lavoro e della previdenza sociale: «Ci sono numerose norme finalizzate a contrastare la discriminazione razziale nell’attività di ricerca di personale, come l’art. 15 Statuto dei Lavoratori che sancisce la nullità di qualsiasi atto che abbia tra le altre finalità quella di discriminazione razziale. O l’articolo 43 del d.lgs 286/1998 che identifica come discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, un determinato gruppo etnico o linguistico. Ma è evidente che queste norme non sono in grado di contrastare le scelte ideologiche scellerate e discriminatorie di alcuni datori di lavoro. Secondo me è l’assenza di una tutela specifica che consente il raggiro dell’attuale assetto normativo. Si pensi - conclude - all'esempio delle quote rosa che hanno obbligatoriamente introdotto la figura femminile nella vita politica e sociale superando quelle arcaiche forme di pensiero sull'inferiorità lavorativa delle donne».

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