L'industria e l'imprenditoria tessile nel Settecento trevigiano

2022-11-16 14:47:07 By : Ms. Alice hu

Al tempo dell’occupazione veneziana della terraferma veneta non erano assenti centri in cui si lavorasse la lana, come confermato dagli Statuti del XIII secolo. Dal ‘500 però si avvertirono da più parti segnali di crisi a causa della forte concorrenza europea specie dei paesi nordici, tanto che Verona si ritrovò ad essere il centro da cui veniva redistribuita la drapperia leggera proveniente dai paesi fiamminghi ed arrivando in Italia passando per il Reno e l’Alto Adige. La regressione proseguì nel XVII secolo e colpì anche il Trevigiano, con la produzione del luogo acquisita dal mercato della città a scapito del decreto del 1633 che vietava l’acquisto di panni non prodotti a Treviso o Venezia. Tuttavia con la seconda metà del Seicento, pur con l’incremento delle misure protezionistiche, principiò una ripresa in alcune zone del Veneto (specie il Vicentino e il Trevigiano) grazie ad una differente redistribuzione delle risorse.

Nel caso del Trevigiano, le basi per la ricrescita furono fondamentalmente due: l’aumento della popolazione dopo la peste del 1630 e la ben nota ricchezza idrografica, che portò in breve tempo a sfruttare ogni luogo possibile e rendere difficile impiantare nuove strutture. Fu così che nel corso del XVIII secolo il Trevigiano divenne il principale luogo di fabbricazione dei cosiddetti panni alti, i tessuti a tre licci non eccessivamente lunghi: nella fattispecie fu evidente il ruolo assunto dall’Asolano con paesi come Cavaso dove erano solamente tre mercanti su sedici a non avere un proprio telaio, mentre al contrario erano sempre tre che ne avevano uno, oltre che in bottega, anche a casa.

Tra i diversi centri di produzione tessile presenti nell’attuale provincia trevigiana, spiccò la Tron-Stahl, nata a Follina nel 1745 e voluta da Niccolò Tron che desiderava imitare le lane francesi e riconquistare il mercato orientale in mano agli Ottomani. Follina non era un posto casuale: era un ambiente caratterizzato dalla vicinanza col Piave, con boschi e pascoli ad uso comune, era presente un’eccedenza di manodopera, ed era una “terra di mezzo” fra il Trevigiano e il Bellunese

Tron, oltre ad aggregarsi col mercante tedesco Giovanni Giorgio Stahl e l’alsaziano Giorgio Federico Faber, chiamò come tintore l’inglese Giovanni-John Coles e il tecnico francese Jean Pierre Douarche. In realtà Tron aveva iniziato il suo impiego nel 1718 a Schio, ma nonostante le buone premesse, non aveva avuto successo. A Follina il capitale di base fu di 372.000 lire venete fornito a metà dai due soci; l’impianto industriale, anche se non ricorreva all’uso del vapore, aveva la sua tessitura, la gualcheria, la tintoria, l’ambiente per cimatura e finissaggio dei panni, i depositi con le materie prime, i tessuti e i semilavorati. I telai erano all’incirca una trentina ed erano di più quelli che lavoravano a domicilio, per cui tra pubblico e privato si contavano un migliaio di lavoratori.

Unitamente alla tecnologia, l’impresa funzionava ovviamente grazie alla mano umana col ritmo impostato dallo Stahl: il lavoratore iniziava all’alba e finiva quando terminava l’impiego assegnatoli; la pausa di 15 minuti al mattino e di un’ora per il pranzo erano accompagnate dalla proibizione tassativa di uscire dalla fabbrica. Con la puntualità si esigeva una moralità nel comportamento per cui chi si ubriacava, chi innescava liti con gli altri o portava armi, era licenziato.

Tuttavia, nemmeno lo stabilimento di Follina non riuscì a vincere la dura concorrenza dei mercati francesi protagonisti del Levante, dove alcuni compratori turchi della compagnia follinese, poiché insolventi, costrinsero i venditori ad accettare il baratto. In più, il 21 agosto 1762 la fabbrica di Follina fu devastata da un incendio che causò la perdita di 7 telai e quasi 12.000 libbre di lana. La crisi fu tale che nel 1771 Niccolò Tron si ritirò dall’impresa lasciandovi alla guida il solo Faber. Tron morì nel febbraio dell’anno seguente, ed i suoi eredi in accordo con Faber misero all’asta la fabbrica, che fu infine ceduta nel maggio 1773 a Sebastiano Battaglia. Ma questi non fu l’ultimo proprietario, e quando l’opificio fu acquisito dai discendenti di Coles, esso riuscì finalmente ad avere una certa notorietà e longevità, meritandosi il riconoscimento austriaco dopo la caduta di Venezia.

(Testo e foto: Davide De Cia). #Qdpnews.it